Il primo maggio e le battaglie operaie per l’emancipazione
La lotta fra capitale e lavoro, le battaglie operaie contro lo sfruttamento, con-tro quella parte del lavoro non pagato di cui si appropria il padrone capitali-sta, vero furto del salario, è lastricata da un fiume di sangue proletario
Michele Michelino
Il 3 maggio 1886, davanti alle fabbriche Mc Cormik in Haymarket Square, c’è un presidio di operai e lavoratori contro azioni di crumiraggio, durante il quale prendono la parola gli esponenti più importanti del movimento operaio, tra cui i militanti anarchici e socialisti, che consideravano la campagna per le otto ore solo come un primo passo verso la rivoluzione sociale. La polizia carica i manifestanti, spara e uccide 4 lavoratori, ferendone centinaia.
Il giorno dopo migliaia di lavoratori scendono nuovamente in piazza prote-stando contro la brutale violenza poliziesca. Nella piazza piena di manifestan-ti, mentre la polizia si avvicina al palco degli oratori per interrompere il comi-zio, viene lanciata una bomba su un gruppo di poliziotti. Un poliziotto muore, molti rimangono feriti. I poliziotti per vendicarsi e presi dal panico sparano all’impazzata sui manifestanti uccidendo 10 persone e ferendone centinaia. Non si scoprirà mai né il numero esatto delle vittime, né chi sia stato a lancia-re la bomba. Subito vengono incolpati gli anarchici.
Una feroce ondata repressiva si abbatté contro le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, le loro sedi furono devastate e chiuse e i dirigenti ar-restati. Le prime vittime di questa caccia al “rosso” furono proprio gli espo-nenti di maggiore spicco del movimento dei lavoratori, ovvero gli anarchici.
Il processo contro gli anarchici seguì il solito copione di una condanna già scritta, anche se non c’era alcuna prova contro di loro. Il 20 agosto 1887 il tribunale dei padroni emette la sentenza: August Spies, Michael Schwab, Sa-muel Fielden, Albert R. Parsons, Adolph Fischer, George Engel e Louis Lingg furono condannati a morte (in seguito a pressioni internazionali la condanna a morte di Fielden e Schwab fu commutata in ergastolo). Oscar W. Neebe fu condannato a 15 di reclusione. Otto lavoratori furono condannati per essere anarchici, sette di loro a morte. L'11 novembre 1887 i condannati furono im-piccati a Chicago e passeranno alla storia come i “Martiri di Chigago”.
In seguito il movimento internazionale dei lavoratori, nel 1889 a Parigi, pro-pose di ricordare con una giornata di sciopero generale, fissata per il Primo maggio di ogni anno, gli avvenimenti di Chicago.
La conquista del diritto ad una giornata lavorativa di otto ore è stata il frutto di una lotta di una classe che la impose prima in America e, successivamente grazie alla Prima Internazionale e alle lotte del movimento operaio interna-zionale, fu introdotta anche in Europa.
La giornata di lotta e la manifestazione del 1° Maggio, nata a Chicago nel 1886, dal 1890 è diventata una scadenza di lotta internazionale contro lo sfruttamento capitalista, per la limitazione dello sfruttamento giornaliero e la giornata lavorativa per le otto ore e altri provvedimenti legislativi al fine di tu-telare l’integrità fisica del proletariato.
La giornata di lotta internazionale degli operai contro il capitalismo si è sem-pre basata sulla solidarietà internazionalista, sul riconoscimento che gli inte-ressi degli sfruttati di ogni paesi sono comuni.
La giornata lavorativa di otto ore 8 conquistata circa 132 anni fa (ormai mes-sa continuamente in discussione) e le “conquiste” operaie sono sempre state il risultato di una guerra civile fra la classe dei capitalisti e quella degli operai e dei rapporti di forza esistenti in quel momento. È il risultato di una lotta di classe che fin dagli albori il movimento operaio internazionale condusse con-tro i capitalisti.
Nel corso degli anni, con il cambiamento dei rapporti di forza nella lotta fra capitale e lavoro, anche la legislazione riguardante le normative, le leggi, i di-ritti e i contratti di lavoro sono cambiati. I limiti del diritto di sciopero - con-templato dall’art. 40 della Costituzione italiana nata dalla Resistenza, sono stati più volte cambiati nel corso degli anni per intervento del potere econo-mico, politico e giurisprudenziale. Il rapporto tra contratto collettivo e conflit-to ha subito molte restrizioni, mutando la disciplina degli obblighi impliciti ed espliciti di tregua sindacale. Non è un caso che l’art. 40 della Costituzione af-fermi che il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regola-no, leggi che seguono l’evolversi della lotta di classe.
Infatti la prima limitazione dello sciopero è stata attuata nei servizi pubblici, regolamentandolo con la legge 146/1990, successivamente modificata e inte-grata dalla legge 83/2000.
Per la legge borghese lo sciopero è un’astensione collettiva dal lavoro di più persone per il perseguimento di un fine comune con l’intento di unire l’interesse del lavoratore con l’iniziativa economica del datore. La legge rico-nosce che, nel corso degli anni, sono cambiate varie forme di lotta e varie ti-pologie di sciopero: scioperi a singhiozzo, a scacchiera, parziale e breve. Dice anche che lo sciopero può essere attuato in alcuni servizi non da tutto il per-sonale e non per l’intera giornata di lavoro e ha adeguato la legislazione a di-fesa del profitto stabilendo nuovi reati nell’interesse collettivo dei capitalisti.
Non è un caso che sono ritenute estranee dalla tutela del diritto di sciopero le azioni di lotta che non si concretizzano in astensioni dal lavoro quali la non collaborazione, l’ostruzionismo e lo sciopero pignolo o alla rovescia, consi-stente nell'applicazione cavillosa di direttive e regolamenti, poiché costituenti condotte diverse dalla mera astensione dal lavoro.
Non rientra neanche nella nozione di sciopero il c.d. “sciopero delle mansioni” che si concretizza in un’astensione parziale dal lavoro e, nello specifico, nel ri-fiuto di svolgere soltanto alcuni dei compiti assegnati al dipendente.
Sono invece state ritenute forme di sciopero vero e proprio gli scioperi a sin-ghiozzo, a scacchiera, parziale e breve, perché in questi casi si verifica un'ef-fettiva totale astensione dal lavoro in cui lo scioperante non può selezionare i compiti da svolgere e quelli da sospendere.
La Corte di Cassazione con due recenti sentenze ha esaminato i limiti interni del diritto di sciopero utili a fare il punto della situazione sull’attuale regola-mentazione del diritto di sciopero.
La legge stabilisce il rapporto tra contratto collettivo e conflitto attraverso una disciplina e degli obblighi impliciti ed espliciti di tregua sindacale.
Il tema della natura collettiva sia degli interessi coinvolti, sia delle modalità dell’esercizio del diritto di sciopero incidono anche sulla questione della validi-tà delle clausole "di tregua sindacale", introdotte dal paragrafo 6 dell’Accordo interconfederale 28 giugno 2011.
La disciplina delle clausole di tregua sindacale, ovvero di quelle clausole del contratto collettivo che regolano l’esercizio del diritto di sciopero, riflette il modo in cui viene concepito, in ciascun ordinamento, il rapporto tra contratto collettivo e conflitto. La regolazione della tregua sindacale, che mette degli argini alla lotta, stabilisce quando il conflitto è legale o diventa reato fissando i vincoli del contratto collettivo rispetto all’azione collettiva.
LO SCIOPERO POLITICO
Naturalmente la regolamentazione dello sciopero ha riguardato anche quello politico, che ha subito anch’esso trasformazioni adeguandosi alla lotta di clas-se. Oggi lo sciopero politico è ammesso “solo se non è diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale e non impedisca né ostacoli il libero esercizio dei diritti e dei poteri in cui si esprime la sovranità popolare”: lo sciopero politico diventa reato se usato contro il potere borghese.
IL DECRETO SICUREZZA
Il cambiamento dei rapporti di forza tra le classi è evidenziato e sancito anche nel cd. Decreto Sicurezza (o Decreto Salvini) varato recentemente dal gover-no giallo-verde che regolamenta ulteriormente le forme di lotta del conflitto di classe, con un inasprimento delle regole repressive a tutela della proprietà privata e del profitto.
Il conflitto di classe latente, con l’acuirsi della crisi economica, si manifesta in modo sempre più dirompente. La brutalità e la violenza del sistema capitalista mostra sempre più il suo vero volto e un sempre maggior numero di persone scende in lotta per difendere i propri interessi. La lotta in difesa del posto di lavoro e dei propri diritti che ostacola l’accumulazione del profitto o frena lo sfruttamento capitalista rispetto ai limiti imposti dai padroni è vista dal capita-le come un atto di guerra contro il sistema capitalista, e il potere borghese agisce di conseguenza e preventivamente con un aumento delle pene e con la galera. Alcune azioni di lotta tradizionali del movimento operaio e popolare, che fino a ieri erano represse timidamente o tollerate, oggi sono brutalmente represse come previsto in particolare nei punti 23 e 30 della legge del Decre-to sicurezza.
È stato reintrodotto il reato di blocco stradale e invasione di altrui proprietà privata, inteso come ostruzione di strade e binari, punibile oggi con pene da 1 a 6 anni, raddoppiate (da 2 a 12 anni) se il fatto è commesso da più persone che usano violenza o minaccia a persone o cose. (Da notare che il reato di blocco ferroviario e stradale fu introdotto nel 1948 su iniziativa del Ministro dell'Interno Scelba e nel 1999 era stato depenalizzato e punito con una san-zione amministrativa pecuniaria.)
Anche per l'occupazione di case, fabbriche che licenziano ecc., oltre all'au-mento della multa, la pena passa da due a quattro anni con le aggravanti a seconda che il fatto sia compiuto in gruppo. Per gli attivisti politici e sindacali che organizzano le lotte è contemplato il Daspo e addirittura l’arresto preven-tivo, come ai tempi del fascismo.
Mentre i padroni rubano a man bassa il salario e miliardi di euro alla collettivi-tà, la classe operaia priva di un’organizzazione di classe nazionale, sindacale e politica, è alla completa mercé del padrone. In caso di conflitto, di ribellione alle regole stabilite dal governo dei padroni e delle multinazionali, deve subire e pagare multe salate, licenziamenti e persino il carcere.
Se nell’immediato queste misure repressive possono contenere le lotte isolate frazionate e divise - grazie alla collaborazione e al controllo sul movimento operaio di sindacati e partiti filo padronali – in futuro, davanti a un movimen-to operaio e proletario unito e organizzato, sono destinate a essere travolte.
Questo, decreto che è in continuità con le politiche del PD e dei governi di centro destra e centro sinistra che l’hanno preceduto, sancisce i nuovi rappor-ti di forza delle classi in lotta oggi in Italia.
Nel corso degli anni, grazie ai sindacati e partiti borghesi al servizio del profit-to, il 1° Maggio è stato svuotato dai suoi contenuti di classe internazionalista, impregnandolo di nazionalismo, sovranismo, trasformando questa giornata di lotta in una festa, in molti casi in un normale giorno lavorativo.
La storia insegna. Nel 1919, solo per ricordare alcuni fatti storici, il primo a farlo fu il socialdemocratico governo Scheidemann, che dichiarò il 1° Maggio festa nazionale mentre nel frattempo massacrava migliaia di operai spartachi-sti, istituendo i primi campi di concentramento per detenuti politici. Subito dopo, nel 1933 Hitler dichiarò il Primo maggio “Festa del Lavoro Nazionale” facendo sfilare i nazisti. Negli anni successivi in Francia questa giornata di lot-ta fu trasformata in festa “tricolore” e, in anni recenti, in Italia è diventata la giornata di festa delle cresime. Nel nostro paese il 1° Maggio - trasformato in generica “festa del lavoro”, nel giorno di San Giuseppe voluto da papa Pio XII nel 1955 patrono degli artigiani e degli operai – è diventato l'appuntamento con il “concertone canoro” a Roma organizzato da Cgil-Cisl-Uil e il giorno della pacificazione tra sfruttati e sfruttatori.
Anche nella manifestazione nazionale del 1° Maggio dei sindacati collabora-zionisti sui palchi si sostituiscono le bandiere rosse con il tricolore, i sindacali-sti parlano di emancipazione, di difesa della pace e dei diritti dei lavoratori mentre non fanno nulla per difendere i lavoratori dai licenziamenti e dalle de-localizzazioni delle aziende. Riconoscono come sacra e inviolabile la proprietà privata del capitale e il profitto, come legale lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Il 1° Maggio, ormai, per molti lavoratori dei centri commerciali e delle fabbriche non è più neanche una festa, ma è una normale giornata la-vorativa, lasciando solo ai sindacati di base e a gruppi di compagni comunisti e anarchici la giornata di lotta.
La mancanza di un partito operaio rivoluzionario, internazionalista, comunista che si batte per il potere operaio ci rende deboli e succubi del capitale. Senza un’organizzazione proletaria internazionale che si ponga l’obiettivo di abbatte-re il potere borghese per il socialismo continueremo a subire i colpi del nemi-co di classe.
Oggi diventa imprescindibile il motto "Proletari di tutto il mondo uniamoci".
LA NOSTRA FORZA È NELLA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALISTA tra gli ope-rai che in tutto il mondo si battono contro lo sfruttamento, il capitale, l'impe-rialismo, le guerre. È così che vogliamo celebrare il 1° Maggio.
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